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Jackie la nostra cagnolina. Il borgo del Balsamico è pet friendly

Per tutti Jackie, come la Kennedy.

Vista con gli occhi di Ginevra Barbetti

E quindi sono partita, con due costumi colorati comprati a metà prezzo che resteranno in valigia.
“Novembre di sole è il mese migliore” dicevano. Migliore per capire che io e Rimini, oggi, abbiamo una malinconia compatibile.

Al Gran Caffè Margherita ci sono pochi turisti e qualche anziano, con i vestiti presi in prestito all’autunno. Il fascino decadente di questo posto mi chiede ogni volta di restare. Dico di sì, e con un caffè doppio tra le mani mi scaldo e osservo. Il lungomare ha qualcosa che ricorda mia madre, quando tornava a casa la sera, stanca, dal lavoro. Aveva finito ma in realtà iniziava, perché doveva pensare a noi. Solo dopo riusciva a pensare a sé. Si toglieva le scarpe, il trucco, la giornata di dosso. Si legava i capelli. Andava sul balcone e accendeva una sigaretta, finalmente libera dal giorno. La vedevo riflessa nella porta a vetri della cucina. Era incantevole così semplice, più di quando si sistemava di tutto punto per uscire. Sembrava disarmata, e disarmante in tutta la sua arrendevole sensualità.

La Romagna adesso è come lei. Arrivata a sera, dopo i giorni faticosi dell’estate, resta ferma e si lascia guardare. Senza la pretesa di piacere, lasciando agli altri la pretesa di sapere che è ancora più bella. Nel mio viaggio itinerante, che corre veloce come quelle nuvole dense, attraverso il cuore alto dell’Italia, passando per Ravenna.

Decido di salutare una vecchia amica, di stanza a Reggio Emilia. Come altre donne entrate nella mia vita, è presenza importante, d’affetto e calore. Si chiama Jacqueline Crotti, per tutti Jackie, come la Kennedy, della quale, oltre al soprannome, porta con sé un’indiscutibile fascino del tempo passato. A volerla dipingere servirebbero i toni caldi del sole, quando bacia la sabbia e la terra brucia. Gli occhi sono invece magnetici e neri come la pece, con dentro un fondo di malinconia leggera.

Torno al suo Borgo, che ormai è casa anche per me, due o tre volte l’anno, e lì resto a scrivere per quanto posso, nell’abbraccio della sua accoglienza sempre schietta e gioviale. Non si può dire sia una grande affabulatrice, nella parola non cerca conforto, ma presta ascolto sempre con animo sincero. La trovo distesa sul divano, con la testa sotto al cuscino. In terra una scatola di biscotti vuota, l’ennesima rubata alla dispensa quando nessuno guarda, senza il permesso di chi cerca invano di controllare la sua dieta e lasciata lì, a far carta colorata. Inutile dirle cosa fare o non fare, resta una signora ma risponde tirando fuori i suoi denti bianchissimi, con la ferocia di un lupo. E ormai, alla sua età, quando le abitudini hanno messo radici, l’idea del cambiamento è pura utopia. Appena si accorge della mia presenza, mi corre incontro, mentre si stira e continua a sbadigliare.

Poi mi stringe in un lungo abbraccio. “Jackie, hai messo su un’altra maniglia dell’amore”, le dico. Lei guarda altrove, altera, nel verde del giardino d’inverno che brilla di pioggia, stretto nella cornice della finestra chiusa. “Jackie, parlo con te!” ripeto alzando la voce. Ma niente, torna sul divano e si sistema comoda, con la sua coda lunga sul cuscino a molle, che batte a ritmo, come Tullio de Piscopo sui piatti della batteria.

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